Ma proseguiamo con un ulteriore salto nel passato, sia a livello di post sia a livello di dischi.
E non a caso.
Visto che sono recentemente usciti con un lavoro nuovo di cui, peraltro, sento parlar bene....
Visto che hanno appena "regalato" un concerto alla causa di Venezia riscuotendo un successo strepitoso....
Ladies and Gentleman, i SIMPLE MINDS.
(Menti Semplici - Venerdì 3 Novembre 2006)
La famosa New Wave ha raggiunto forse il suo apice con i Simple Minds. Che peraltro perirono "artisticamente" con essa, come i migliori capitani che si rispettino.
Dei tanti ottimi dischi che fecero, e al di là delle simpatie personali (le mie vanno a "Sister Feelings Call"), si può dire che New Gold Dream 81-82-83-84 rappresenta il vero disco perfetto.
Perfetto perché raggiunge il miglior equilibrio tra cifra stilistica del gruppo e scala commerciale, mantenendo qualità artistiche altissime ma consentendo di scegliere tra una fruizione facile del lavoro oppure una fruizione più “fine”, andando a scavare sotto la superficie. Per inciso da "Once upon a time" in poi (quello di alive and kicking) la fruizione fine sparì del tutto.
Perfetto perché il gruppo non tentò mai di bissarlo. Il successivo "Sparkle in the Rain", album superbo ma condotto dal grande Steve Lillywhite sulle piste sonore degli U2, i veri killers dei SM, non ne ricalca assolutamente la linea.
Perfetto perché la produzione di Peter Walsh infuse una grande vena romantica nelle composizioni un po’ troppo “glaciali” dei primi album (pensate a League of Nations come pezzo-guida). Della serie “anche i tappeti di tastiere hanno un’anima”.
Ma scendiamo nello specifico.
I picchi del disco sono l’ariosa ma un po’ cupa e carica di tensione Hunter and the Hunted (con lo stupendo solo liberatorio di Herbie Hancock), l’ariosa ma ottimista Someone Somewhere in Summertime e la maestosa cavalcata del pezzo omonimo, New Gold Dream.
Roba da far generare almeno 3 o 4 Killers (nel senso del gruppo).
Si tratta di tre brani senza alcuna pecca. Da consegnare alla storia. Grondanti quella passione che gli scozzesi precedentemente faticavano a mostrare.
Spiccano anche le canzoni compositivamente più legate ai precedenti lavori, Colours fly and Catherine wheel, Big sleep e King is white and in the crowd: meno emozionanti ma perfetti meccanismi ad orologeria di spunti melodici e ritmi e arrangiamenti stratificati.
A non brillare in modo significativo sono soltanto i due pezzi danzerecci “da classifica”, Glittering Prize (triste anticipatore delle successive svolte commerciali) e Promised you a miracle; ma si deve tener conto del livello elevatissimo di qualità intrinseca del disco. Brani chè avrebbero ben altrimenti brillato sui lavori successivi. Ma insomma qualche singolo serviva pure per lanciare il disco e per introdurlo presso le sale da ballo.
Sul tutto svettano gli arrangiamenti d’epoca (con le tastiere-ovunque di McNeill, capaci di creare il giusto fondale emotivo e sempre senza arrecare danni - miracolo per le tastiere!-)(quanto ci manca un tastoerista come McNeill oggi...), il clamoroso basso di Derek Forbes (per le scelte di linea melodica che spessissimo guidano le canzoni), la voce e le enormi capacità interpretative di Jim Kerr, un cantante mai troppo lodato.
No, non ho mai amato alla follia Charlie Burchill checchè se ne dica del suo ruolo guida nel gruppo. So soltanto che sparito McNeill i Simple Minds sono scesi di diversi gradini.
E’ in sintesi un disco da avere assolutamente, anche se non si è stati amanti del genere.
Rappresenta al meglio un’epoca intera, diciamo dal 1978 al 1985 al di là del titolo.
E’ la summa degli umori di un periodo e di una società inquieti e a “destination-unknown” come quelli post punk. Torme di giovani inconsapevolmente diretti verso l’edonismo reganiano, lo yuppismo e il paninarismo verso i quali tentavano di opporre una forma pacifica di resistenza.
Ma questa, è un’altra storia……