martedì 26 luglio 2011

Counting Crows - Round Here



Un post in cinque punti.
1) August and Everything After (1993) è uno dei più grandi album di debutto di tutti i tempi. Per non parlare del titolo.
2) Round Here, l'opener dell'album, non ha la freschezza leggiadra malinconica immortale di Mr. Jones ma resta pur sempre una grandissima canzone, piena di parole e di pathos.
3) Adam Duritz è uno dei migliori cantanti della sua generazione, senza se e senza ma.
4) Anche loro come molti altri colleghi, in attesa di capire che fine farà il music business (avrà ancora senso pubblicare album? E dove?), girano/giravano il mondo risuonando per intero i capolavori del passato: prossimo nel loro caso, remoto in quello di altri.
5) Riguardando questo masterpiece ho capito a chi si ispira (almeno nel look) quel simpatico gaglioffo di Caparezza.
O no?

domenica 24 luglio 2011

Noi e Amy

Combattuto tra partecipare o meno alla corsa al post postumo, ma anche conscio che di questa morte si parlerà veramente a lungo, scrivo due righe solo per dire che sapevamo già. Sapevamo già tutti che sarebbe successo e che sarebbe successo presto.
Ergo tutti dovremmo sentirci "idealmente" un filino responsabili, non tanto per responsabilità diretta quanto per contribuire nel nostro piccolo ad alimentare un business che è talmente crudele da non fermare il suo corso nemmeno per cercare di recuperare una ragazza di soli 27 anni.
Non voglio fare nè il cinico nè il moralista nè, tantomeno, l'ingenuo.
Ma siamo davanti, prima che a notevoli artisti, a persone.
Persone che avrebbero meritato di incontrare un discografico o un organizzatore di concerti che tirasse loro un calcio nel culo e le spedisse fuori dai coglioni, "così come sei ridotta vai a fare la cassiera o la guardarobiera che è meglio". Magari dando un colpo irreparabile all'amor proprio, rischiando di istigare al suicidio i veramente fragili. Ma sarebbe stato comunque un gesto di speranza.
Quelli che l'hanno fatta salire sul palco e cantare a Belgrado, in quello che rimarrà un indelebile e dolorosissimo ricordo per tutti quelli che l'hanno intravisto, sono dei delinquenti al pari di quelli che continuavano a procurarle il crack, al pari di quelli che fanno giocare un calciatore che ha una malformazione al cuore, al pari di quelli che fanno salire sul ring un pugile suonato e dalla salute compromessa.
Non sempre chi ti prende a calci nel culo ti vuole male, non sempre chi ti coccola e ti asseconda (per tenerti in vita artificialmente) ti vuole bene.
Rest in peace, e non odiarci troppo.




sabato 23 luglio 2011

Deep Purple: lo sfruttamento di 'Sail Away'


BURN nel 1974 fu l'album della "resurrezione" dei Deep Purple.
L'ingresso dei due assi David Coverdale (vocals) e Glenn Hughes (bass, vocals) al posto dei dimissionari Ian Gillan e Roger Glover, dette nuova linfa alla band, nuove e inedite capacità vocali (più bluesy Coverdale, acutissimo Hughes), ulteriori capacità di songwriting.
Burn, a parte la celeberrima title-track e l'altrettanto celebre "Mistreated" che sarebbe divenuto il sempiterno cavallo di battaglia di Coverdale anche nella carriera solista e coi Whitesnake, contiene una manciata di "strane" canzoni che spiccano soprattutto per il tentativo di uscire (sic! già nel 1974) dai clichè dell'hard rock che gli stessi Purple avevano abbondantemente contribuito a definire.
Qua vi passo SAIL AWAY, un curioso pezzo a firma Blackmore-Coverdale, curioso per vari motivi. Innanzitutto la ritmica quasi funky, poi il refrain che sembra preso da un album dei Rainbow (di lì a poco Ritchie se ne andrà dalla sua creatura e unirà le forze con quelle di Ronnie James Dio....).
Infine il saccheggio che questo pezzo subì negli anni, incredibile.
Il riff, rallentato, è praticamente quello di "God of Thunder" dei Kiss (eh, i mascheroni....).
La strofa, sempre rallentata, assomiglia parecchio ma parecchio a quella di "Children of the damned" degli Iron Maiden (toh, voi quoque...).
Per finire, ma solo per esperti profondi di hard & heavy, il solo di Jon Lord ha un suono che assomiglia più a un vocoder che all'Hammond e la melodia del solo è praticamente la stessa del solo di vocoder contenuto all'interno di "The Zoo" degli Scorpions.
Quando si dice le coincidenze eh?
Prosit!

martedì 19 luglio 2011

Motley Crue - Live Wire



C'era una volta un gruppo che si collocava all'ideale crocevia tra Kiss, Rolling Stones, Aerosmith, Alice Cooper e il Glam Rock inglese della prima metà dei seventies.
C'era una volta un gruppo che aveva una sezione ritmica elefantesca nel senso dell'impatto e potente e agile al tempo stesso.
C'era una volta un gruppo che aveva un chitarrista più vecchio degli altri membri capace di vampate e deragliate più giovani di tutti gli altri. Uno sferragliante motore da trattore in una limousine.
C'era una volta un gruppo che si autoprodusse il disco d'esordio autofinanziandosi (Leathur Records) e vendendone da solo le prime corrosive copie in giro per Los Angeles. TOO FAST FOR LOVE fu un ottimo "debut album", sicuramente tra i primissimi nell'heavy rock dei primi anni '80. LIVE WIRE non era il pezzo più orecchiabile e sticky (a proposito di Sticky, dice niente la copertina?) del disco ma ne era certamente l'ossatura portante. Un vero e proprio pezzo speed metal, non è possibile non fare headbangin' sentendolo. E anche le gambe partono da sole. Un inno all'energia, una cavalcata di chitarra incalzante come poche, una batteria a doppia grancassa che neanche Scott Travis e un basso pulsante a sostenere il tutto.
Ma come tutte le belle favole anche quella dei MOTLEY CRUE ebbe fine presto.
E fu così che venne l'Elektra, e li trasformò in un odioso gruppo di hair metal.
E fu così che acquisì importanza il look, e l'unico elemento imbarazzante dei Crue, quel Vince Neil senza voce e senza personalità, venne issato a icona per le gnocche losangeline in calore che ai tempi inseguivano qualunque capigliatura cotonata in odor di rock.
E fu così che le canzoni diventarono meno abrasive e taglienti, prima solo un più anthemiche (il buon "Shout at the devil"), poi sempre più ruffiane e vanagloriose e da classifica e piene di power ballad (l'apice del miele di "Theatre of hate").
E fu così che i concerti da selvaggi che erano diventarono dei palchi pieni di mutandine.
E fu così che io mandai affangala uno dei gruppi che più mi aveva fatto sperare.
Le favole, come si sa, finiscono. Ma non sempre finiscono bene.

Prosit!

sabato 16 luglio 2011

I Guerrieri della Notte - The Warriors Theme


Questo film è assolutamente generazionale, ha COLPITO e AFFONDATO probabilmente solo la mia.
Non so quante volte l'ho visto al mitico cinema "Universale" di Firenze, dove la programmazione era decisa dal pubblico e comprendeva sì e no una trentina di film mandati in loop ogni mese (il live degli Zep e degli AC/DC, Odissea 2001 e Arancia Meccanica, questo film qua erano alcuni dei titoli più gettonati), dove il commento era assolutamente libero (come il rutto) e dove una volta un tizio entrò a motorino acceso, per dire l'ambiente.
Non si tratta di un film politically correct, nè andrebbe fatto visionare a ragazzi inquieti in quanto totalmente diseducativo e fuorviante, celebrando l'essenza e l'appartenenza alle famigerate Gang cittadine.
A ben guardare non è nè ben girato nè ben recitato.
MA E' UN VERO E PROPRIO CULT, indimenticabile, capace di generare icone stilistiche e modi di dire (quanti ancora oggi a Carnevale si mascherano da Baseball Furies?).
E la colonna sonora di Barry De Vorzon (qua il main theme che serpeggia) è una delle migliori che abbia mai avuto modo di ascoltare in tutta la mia poca esperienza di cinefilo.

Guerrieri......venite a giocare alla guerra?