giovedì 27 ottobre 2011
DISCOTIME: Deee-Lite e Groove Is In The Heart
Ma chi l'ha detto che la musica dance debba essere per forza limitata al periodo dorato lustrini e paillettes della Disco Music?
All'inizio degli anni '90 esplose nuovamente la dance mania, con arrangiamenti al tempo stesso più techno e più contaminati dall'hip hop culture.
DEEE-LITE da New York spaccarono di brutto con questo GROOVE IS IN THE HEART, funkettone inframezzato rap e progenitore di tanta musica venuta dopo (penso a Andre 3000 e i suoi Outkast, per esempio).
Lady Kier (uno dei corpi più belli mai visti su palco abbinato ad una voce che levati) e i suoi due pards (ballerini clamorosi inventori di mosse e mossettine che neanche MJ) imbastirono questo pezzo epocale colorato musicalmente e visivamente e per alcuni anni impazzarono in ogni dove.
A risentirla, questa canzone, non suona datata. Potrebbe uscire oggi e sembrare attuale.
Se solo esistessero ancora i dance club di una volta e il tutto non fosse ridotto ad un orrendo "aspira-al-privè-che-c'è-quello-famoso-del GF12 o 13" (aspira nel senso del desiderio, non della coca eh).
Notte gente, che la danza vi ritrovi.
lunedì 24 ottobre 2011
Jonathan Wilson - Desert Raven
Ecco il classico disco che mi fa esclamare "porca puttana ma chi è questo qua?". Raro ma succede ancora.
Non ricordo quale amico me l'aveva segnalato (forse Chiarina? sì, potrebbe essere nelle sue corde....
A proposito si chiama JONATHAN WILSON, viene dal North Carolina e ha 37 anni (ma per quello che suona potrebbe anche averne 77...).
Ci sono molte influenze nella sua musica, dagli Allman Bros a Neil Young, da Bob Seger a David Crosby e anche un friccico di Dr. Hooker e via via chi più ne trova, ma il mix è a tutti gli effetti molto "personale".
Certamente ascoltandolo e andando in deliquio vi chiederete PERCHE' oggi uno se ne esca con una roba così che se fosse uscita tra la fine dei 60 e la prima metà dei 70 sarebbe andata in orbita dappertutto e oggi rischia seriamente di fare la muffa tra gli immaginari scaffali di Itunes.
Non lo sapremo mai, temo.
Ma quel che conta è che il signore in questione, con un disco nel cassetto clamoroso come GENTLE SPIRIT, alla fine lo abbia schitarrato fuori con tutto il suo karma.
Sentite questo pezzo, si chiama DESERT RAVEN ed è il terzo del disco ed è liquido e sognante: se siete fatti di quella pasta che credo io, godrete come maiali.
Ogni tanto ci vuole, santiddio.
Ola.
giovedì 20 ottobre 2011
Gli Eurythmics prima dell'Euro
Strano destino quello di Annie Lennox e Dave Stewart.
Gente che stranamente e contro molte leggi artistiche veniva incensata quando era in vita anzichè dopo "morti".
Quando mutarono il nome da Tourists a Eurythmics (eppure venivano da una discreta hit come I only wanna be with you, in fondo chi glielo faceva fare?) si aprirono loro le porte del successo con la S.
Critica, pubblico, charts. Per anni non mancò niente, nonostante moltissimi cambi di rotta a livello di arrangiamenti che li videro oscillare dalla new wave al soul, dal pop alla dance elettronica.
Poi come sempre lo scioglimento e l'oblio con Annie che imbastisce una discreta carriera solista e Stewart che perlopiù si dedica allo scrivere per gli altri ed alla produzione.
E gli Eurythmics di colpo iniziano ad essere banditi da qualunque tavola, forse per l'unica colpa di aver visto il successo (con la S) nei rutilanti anni '80. Come se aver avuto successo (con la S) negli anni 80 fosse sinonimo di scarsa qualità. E invece, CRIBBIO, di canzoni ce ne hanno lasciate veramente tante di belline e anche alcune di molto belle. Il binomio funzionava alla grande, soprattutto quando si circondavano di collaboratori di valore (alcune coriste che levati, Clem Burke alla batteria....). Io insomma ammiravo la voce di Annie, la sua decisione fragile, il suo piglio. E capivo la professionalità di Dave Stewart, uno che di musica ne mastica davvero.
Non so se oggi sono ancora riuniti (dopo il buon ritorno di ehi ehi i saved the world today) ma poco importa.
Bando alle ciance. Li ripropongo dall'inizio, da quel pezzo da brividi che ancor oggi provoca a sentirlo e a guardarlo (un videoclip debitore verso quello pre-mtv di ashes to ashes ma averne).
HERE COMES THE RAIN AGAIN resta a tutti gli effetti una signora canzone (con la S), con una delle intro più clamorose e copiate della musica pop.
Gente che stranamente e contro molte leggi artistiche veniva incensata quando era in vita anzichè dopo "morti".
Quando mutarono il nome da Tourists a Eurythmics (eppure venivano da una discreta hit come I only wanna be with you, in fondo chi glielo faceva fare?) si aprirono loro le porte del successo con la S.
Critica, pubblico, charts. Per anni non mancò niente, nonostante moltissimi cambi di rotta a livello di arrangiamenti che li videro oscillare dalla new wave al soul, dal pop alla dance elettronica.
Poi come sempre lo scioglimento e l'oblio con Annie che imbastisce una discreta carriera solista e Stewart che perlopiù si dedica allo scrivere per gli altri ed alla produzione.
E gli Eurythmics di colpo iniziano ad essere banditi da qualunque tavola, forse per l'unica colpa di aver visto il successo (con la S) nei rutilanti anni '80. Come se aver avuto successo (con la S) negli anni 80 fosse sinonimo di scarsa qualità. E invece, CRIBBIO, di canzoni ce ne hanno lasciate veramente tante di belline e anche alcune di molto belle. Il binomio funzionava alla grande, soprattutto quando si circondavano di collaboratori di valore (alcune coriste che levati, Clem Burke alla batteria....). Io insomma ammiravo la voce di Annie, la sua decisione fragile, il suo piglio. E capivo la professionalità di Dave Stewart, uno che di musica ne mastica davvero.
Non so se oggi sono ancora riuniti (dopo il buon ritorno di ehi ehi i saved the world today) ma poco importa.
Bando alle ciance. Li ripropongo dall'inizio, da quel pezzo da brividi che ancor oggi provoca a sentirlo e a guardarlo (un videoclip debitore verso quello pre-mtv di ashes to ashes ma averne).
lunedì 17 ottobre 2011
Io e i Genesis (Mad Man Moon)
Io e i Genesis non ci siamo mai incontrati.
Non ci siamo mai incontrati durante il periodo "progressive" guidato dal faro di Peter Gabriel (lui sì che mi prese, anni dopo).
Non ci siamo mai incontrati durante il periodo "pop" guidato da Phil Collins (un buon autore, non capisco perchè questa acredine contro di lui, è "solo" un ottimo autore pop e grande batterista perchè chiedergli di essere di più?).
Ci siamo però sfiorati, sì ci siamo sfiorati. Io e i Genesis.
Successe per un paio di album, quelli della transizione dal primo al secondo periodo, quelli dove Phil Collins cantava come cantava Peter e dove il genio di Tony Banks e l'abilità di Rutheford e Hackett ancora brillano.
A TRICK OF THE TAIL non sarà il miglior album dei Genesis per carità, chi sono io per giudicarli non sono neanche uno che li conosce a menadito.
Ma A Trick of the tail sono i "miei" Genesis. Un album che conosco solco per solco, parola per parola, nota per nota. Dalla tumultuosa Robbery, Assault and Battery, passando per la grandissima Ripples, fino al grandissimo elegiaco sognante e malinconico pezzone qua: MAD MAN MOON. Una delle canzoni che più mi commuovono e che continuano a farmi chiedere chi diavolo rappresentasse questo pazzo uomo luna. Ma si sa, i testi dei Genesis sono sempre stati simbolici e raffigurativi, non c'è neanche bisogno di capirli troppo.....bisogna solo scivolarci dentro.
E allora vado nuovamente a struggermi in questo brano, scusatemi, ma ogni tanto è più forte di me.
mercoledì 12 ottobre 2011
ANIMALI DA PALCOSCENICO: Tina Turner & Rod Stewart - Get Back & Hot Legs live 81
Scoppio di rubriche, adesso lancio "Animali da palcoscenico" una serie dedicata a tutti quelli che quando sono sul palco rubano la scena e catalizzano l'attenzione del pubblico.
Gli animali da palcoscenico sono purtroppo in clamorosa diminuzione nowadays, forse nel convulso mondo di oggi non servono neanche più, impegnati come siamo a correre dietro agli mp3 e ai festival dove suonano in millemila un quarto d'ora a testa.
Ma è bello almeno per me ricordare chi e come, pescando a piene mani innanzitutto dal rocchenrolle.
E quale miglior inizio di una rubrica se non quello di 2 al prezzo di 1?
Due GRANDISSIMI e indescrivibili animali da palcoscenico alle prese con due canzoni atte alla bisogna (la prima non c'è bisogno di presentarla la seconda è da sempre uno dei cavalli di battaglia live di Roddie).
Due come non se ne fanno mica più, lo "stampino" chissà chi l'ha fottuto.
Non vi tedierò con note su questi due mega artisti che hanno caratterizzato almeno un paio di decenni della musica. Qua il Roddie era in inizio di fase calante ma ancora in splendida forma sia vocale che fisica, la Tina era appena stata ripescata dal baratro e iniziava a godere la sua seconda giovinezza (a cui ne sarebbero seguite molte altre ma la Tina è la Tina oh, a 60 e passa anni da ancora dei punti alla Beyoncè).
Seguiranno altre puntate, per ora godetevi questi due qua.
Prosit!
domenica 9 ottobre 2011
DISCOTIME: Odissey - Going back to my Roots
Il Rocksaloon rimette per un attimo la maschera del dancefloor e continua la rassegna dei pezzi che fecero la stagione della disco/dance music, incentrata specialmente su quegli artisti che non ebbero da quell'epoca fama imperitura.
Gli ODISSEY erano nel solco della tradizione funky-leggero con quel riffettino di chitarra a-la-nilerodgers e quei fiati di contrappunto a-la-koolandthegang, per capire il posizionamento.
In pista andarono di brutto, come qualunque diggei dell'epoca poteva capire fin dall'incipit del pezzo "walking on the boots....going back to my roots!" che nel 1981 spopolò in prekaraoke.
Peraltro la versione degli Odissey è passata alla storia forse più dell'originale, proposto 4 anni prima nel 1977 da quel gran genio della musica black che risponde al nome di LAMONT DOZIER (sì, proprio il celeberrimo autore che in coppia con Brian Holland firmò una marea di pezzi soul dell'epoca Motown). Vi metto anche questa versione, per palati più fini di quella prima, che apre col piano anzichè con la chitarra e appare un pò meno "levigata".
Alla prossima gente.
mercoledì 5 ottobre 2011
The Magnetic Fields - Epitaph for My Heart
Dopo svariati anni dalla sua pubblicazione continuo a non saperne quasi una mazza di questo album e del suo autore Stephen Merritt (che si cela sotto lo pseudonimo di Magnetic Fields). Ma che mi frega mica sono un giornalista. Anzi vi dirò di più manco c'ho il ciddì. Forse ce l'ho su mp3 ma non ricordo in quale chiavetta o hard disk l'ho messo.
Vi ho mai detto che uno dei problemi più seri della musica digitale è la sua archiviazione? Io non ritrovo mai niente eppure ho tantissima roba sparsa. Che pena non sapere dove è andato a finire quel pezzo che avresti voglia di sentire subito-subito e non puoi andare allo scaffale ad estrarlo dal suo posto..
Quindi come faccio a usufruire della potenza melodica del capolavoro mai più ripetuto di 69 Love Songs, uno dei più grandi (in tutti i sensi) concept album mai concepiti? Semplice, vado sul Tubo e riesco sempre a trovare random una canzone del disco con buona qualità sonora e me la sento in cuffietta-computer (tanto mica li produceva John Mutt Lange.....e per provare le casse dello stereo tengo sempre a portata di mano breakfast in america). E' sempre un toccasana, un piccolo buffetto di sostegno alla mia anima che magari dondola indecisa sul da farsi.
Musica dell'anima mi piace, accomuna tanti brani appartenenti ad artisti/generi i più svariati ma che in qualche modo influiscono sul tuo stato d'animo. Il mix personale di brani di musica dell'anima, ad avere il fegato di confessarli tutti, dice più cose di te del tuo psicanalista semmai ne avessi avuto uno.
Coraggio, a voi. Io indico Epitaph For My Heart come uno dei miei pezzi preferiti per leccarmi le ferite.
lunedì 3 ottobre 2011
Bruce Dickinson ha il suo perchè e percome
Paul Bruce Dickinson è indubbiamente uno dei cantanti più bravi e dotati di sempre, nel mondo hard&heavy. Fa parte della schiera degli "urlatori" che discende dai padri Gillan&Plant e prosegue alla stragrande con i vari Ronnie James Dio e Geoff Tate. Pensate che quando militava da regazzino negli storici Samson, Bruce Bruce (il suo nome dell’epoca) era noto come "air raid siren", e ho detto tutto.
Sono una genìa di cantanti di grande apertura vocale, intonazione superba, capacità di estensione incredibile. Talvolta eccedono un po', ma fa parte del genere e del gioco che non prevede molta sobrietà per definizione.
Bruce subentrò al più originale (ma inadatto al suono epico dei Maiden) Paul Di Anno al terzo album della band, quel THE NUMBER OF THE BEAST che viene giudicato da molti un caposaldo dell'intera produzione mondiale di hard. Era il 1982. Bruce completò il già elevato asset dei Maiden con l'apporto di una prestazione fisica e vocale di prim'ordine, unita ad una solida capacità di songwriting (che consentì un pò di variazione rispetto ai pur elevati standard di Steve Harris) dando alla band l'attuale status di prima fila.
Vidi il secondo concerto in assoluto della formazione con Bruce, a Firenze nel 1982. Nessuno sapeva niente e dopo un paio di minuti di fischi misto urla DiAnno-DiAnno....lui prese il microfono in mano cacciò un urlo e ammutolì tutti. Da lì un successo travolgente e senza precedenti. Ma ve ne racconterò meglio a parte un'altra volta…
Inutile star qui a parlare dell'importanza capitale dei Maiden nel trasferire le stigmate del genere al futuro. Senza di loro la lezione dei Deep Purple non sarebbe confluita mai nell'heavy metal e i toni epici sarebbero rimasti un ricordo. Ma anche questo è un altro post.
Insomma, com'è come non è, come in tutti gli amori, anche Bruce e i Maiden hanno avuto la loro crisi.
Successe quando a fine anni 80, Bruce si stancò della ripetitività in cui si era incanalato il sound della band (a cui comunque contribuiva pesantemente come songwriter) e iniziò a cercare sbocchi alternativi producendo dischi solisti a nome proprio con l'ausilio del chitarrista Roy Z, personaggio trasversale al mondo dell'hard anni '90.
Mentre uscivano dischi dei Maiden sempre più calanti, Bruce tentò strade anche un pò impervie che lo portarono a includere nei propri lavori (sempre di matrice hard) anche psichedelia, rap, jazz e perchè no glam rock.
Ci furono molti eccessi, a dire il vero. Anche troppi sperimentalismi. Però oh. Tentar non nuoce. Meglio che ripetersi come facevano ormai da anni i Maiden che sono poi divenuti more solito la cover band di sé stessi.
Alcuni album di ottimo livello come TATTOED MILLIONAIRE e ACCIDENT OF BIRTH si alternano ad altri più disomogenei e discutibili ma vendono in un paio di casi addirittura più di quelli stanchi e contemporanei degli ex-compagni di viaggio. Il problema è che Bruce da solo non ha la forza e l’immagine dei Maiden al completo, almeno sul piano commerciale. Non riesce a sfondare a livello di massa, pur investendo in ricerca e qualità. E’ la solita vecchia storia vista mille volte del frontman-che-pensa-di-farcela-da-solo e poi si ritrova senza il culo coperto sul palcoscenico (vero David Lee Roth, Rob Halford ma potrei dire anche Serj Tankian e Chris Cornell?).
Inevitabile il ritorno a casa del figliuol prodigo, assieme all’altro fuoriuscito (e amico di Bruce) Adrian Smith che ha portato all’attuale assetto di maxi-band a 3 chitarre soliste (bravi i Maiden a non dare un calcio nel culo all’incolpevole Janick Gers che nel frattempo, era stato reclutato a compensazione).
Inevitabile il rientro alla base, per consentire ai Maiden (e ai due ex-Maiden) di rientrare in orbita. Cosa a dire il vero solo parzialmente riuscita perché gli anni si cominciano a sentire tutti e la carenza di creatività da svariati anni è pressochè totale.
Si salva la dimensione live: i Maiden sono grandi professionisti, integri, e figurano stabilmente tra gli act di maggior successo di pubblico. Rifanno sè stessi ma sul serio, non sono una cover band. Sono i Maiden un pò invecchiati che ci danno dentro da matti e con bravura.
Una storia però a pensarci bene tipica del rock dei nostri giorni, una musica a doppia faccia dove giovani band si affacciano alla ribalta sfruttando le nuove piattaforme mediatiche e le vecchie band si sfidano a colpi di stadi e palasport. In mezzo pochi ibridi che cercano di tenere i piedi in parecchie staffe. Pochissimi (Radiohead, ma a fatica) ci riescono.
Però vi giro due pezzi di Bruce per farvi capire meglio.
SHOOT ALL THE CLOWNS è un rock moderno, anni luce avanti ai Maiden, addirittura rappato (no, non temete, non è nu metal), con suoni e arrangiamento non-classici e invitanti.
TEARS OF THE DRAGON è invece un pezzone classico che alterna momenti morbidi e duri alla maniera della madre di tutte le power ballads (devo proprio dirvi qual è?), un pezzone che quando uscì, Steve Harris avrebbe dato un rene e un polmone per essere ancora in grado di scrivere quella roba lì.
Ultima curiosità: sapevate che Bruce negli anni ’90 ha fatto il pilota aereo di linea a tempo pieno e continua a guidare il Boeing con cui la band si sposta nelle tourneè? Manco John Travolta….
Sono una genìa di cantanti di grande apertura vocale, intonazione superba, capacità di estensione incredibile. Talvolta eccedono un po', ma fa parte del genere e del gioco che non prevede molta sobrietà per definizione.
Bruce subentrò al più originale (ma inadatto al suono epico dei Maiden) Paul Di Anno al terzo album della band, quel THE NUMBER OF THE BEAST che viene giudicato da molti un caposaldo dell'intera produzione mondiale di hard. Era il 1982. Bruce completò il già elevato asset dei Maiden con l'apporto di una prestazione fisica e vocale di prim'ordine, unita ad una solida capacità di songwriting (che consentì un pò di variazione rispetto ai pur elevati standard di Steve Harris) dando alla band l'attuale status di prima fila.
Vidi il secondo concerto in assoluto della formazione con Bruce, a Firenze nel 1982. Nessuno sapeva niente e dopo un paio di minuti di fischi misto urla DiAnno-DiAnno....lui prese il microfono in mano cacciò un urlo e ammutolì tutti. Da lì un successo travolgente e senza precedenti. Ma ve ne racconterò meglio a parte un'altra volta…
Inutile star qui a parlare dell'importanza capitale dei Maiden nel trasferire le stigmate del genere al futuro. Senza di loro la lezione dei Deep Purple non sarebbe confluita mai nell'heavy metal e i toni epici sarebbero rimasti un ricordo. Ma anche questo è un altro post.
Insomma, com'è come non è, come in tutti gli amori, anche Bruce e i Maiden hanno avuto la loro crisi.
Successe quando a fine anni 80, Bruce si stancò della ripetitività in cui si era incanalato il sound della band (a cui comunque contribuiva pesantemente come songwriter) e iniziò a cercare sbocchi alternativi producendo dischi solisti a nome proprio con l'ausilio del chitarrista Roy Z, personaggio trasversale al mondo dell'hard anni '90.
Mentre uscivano dischi dei Maiden sempre più calanti, Bruce tentò strade anche un pò impervie che lo portarono a includere nei propri lavori (sempre di matrice hard) anche psichedelia, rap, jazz e perchè no glam rock.
Ci furono molti eccessi, a dire il vero. Anche troppi sperimentalismi. Però oh. Tentar non nuoce. Meglio che ripetersi come facevano ormai da anni i Maiden che sono poi divenuti more solito la cover band di sé stessi.
Alcuni album di ottimo livello come TATTOED MILLIONAIRE e ACCIDENT OF BIRTH si alternano ad altri più disomogenei e discutibili ma vendono in un paio di casi addirittura più di quelli stanchi e contemporanei degli ex-compagni di viaggio. Il problema è che Bruce da solo non ha la forza e l’immagine dei Maiden al completo, almeno sul piano commerciale. Non riesce a sfondare a livello di massa, pur investendo in ricerca e qualità. E’ la solita vecchia storia vista mille volte del frontman-che-pensa-di-farcela-da-solo e poi si ritrova senza il culo coperto sul palcoscenico (vero David Lee Roth, Rob Halford ma potrei dire anche Serj Tankian e Chris Cornell?).
Inevitabile il ritorno a casa del figliuol prodigo, assieme all’altro fuoriuscito (e amico di Bruce) Adrian Smith che ha portato all’attuale assetto di maxi-band a 3 chitarre soliste (bravi i Maiden a non dare un calcio nel culo all’incolpevole Janick Gers che nel frattempo, era stato reclutato a compensazione).
Inevitabile il rientro alla base, per consentire ai Maiden (e ai due ex-Maiden) di rientrare in orbita. Cosa a dire il vero solo parzialmente riuscita perché gli anni si cominciano a sentire tutti e la carenza di creatività da svariati anni è pressochè totale.
Si salva la dimensione live: i Maiden sono grandi professionisti, integri, e figurano stabilmente tra gli act di maggior successo di pubblico. Rifanno sè stessi ma sul serio, non sono una cover band. Sono i Maiden un pò invecchiati che ci danno dentro da matti e con bravura.
Una storia però a pensarci bene tipica del rock dei nostri giorni, una musica a doppia faccia dove giovani band si affacciano alla ribalta sfruttando le nuove piattaforme mediatiche e le vecchie band si sfidano a colpi di stadi e palasport. In mezzo pochi ibridi che cercano di tenere i piedi in parecchie staffe. Pochissimi (Radiohead, ma a fatica) ci riescono.
Però vi giro due pezzi di Bruce per farvi capire meglio.
SHOOT ALL THE CLOWNS è un rock moderno, anni luce avanti ai Maiden, addirittura rappato (no, non temete, non è nu metal), con suoni e arrangiamento non-classici e invitanti.
TEARS OF THE DRAGON è invece un pezzone classico che alterna momenti morbidi e duri alla maniera della madre di tutte le power ballads (devo proprio dirvi qual è?), un pezzone che quando uscì, Steve Harris avrebbe dato un rene e un polmone per essere ancora in grado di scrivere quella roba lì.
Ultima curiosità: sapevate che Bruce negli anni ’90 ha fatto il pilota aereo di linea a tempo pieno e continua a guidare il Boeing con cui la band si sposta nelle tourneè? Manco John Travolta….
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