martedì 31 maggio 2011

CARO EMERALD (che non è l'inizio di una lettera...)

Caroline Esmeralda van der Leeuw (in arte CARO EMERALD) è una cantante olandese, che viene dal jazz.
Pochissimi la conoscono eppure moltissimi hanno già ascoltato le sue cose.
Il suo album di debutto “Deleted Scenes from the Cutting Room Floor” si è rivelato infatti una vera e propria miniera per i creativi pubblicitari, che oggi possono a pieno titolo vantarsi sia di essere dei talent scout, sia degli hit makers sia dei formidabili veicoli promozionali per la musica.
Ovvio che deve trattarsi di roba facile, da inserire in spottoni ad alta pressione (si chiamano Grp's, le unità di misura che ti fanno capire quanto passa uno spot), di quelli che ti bombardano e ti rompono i maroni per mesi.
Però mentre il brand pubblicizzato alla fine ti va sui corbelli, spesso il jingle (che poi vero e proprio jingle non è, ma un vero soundtrack) viaggia come un missile on air e in classifica.
Ecco tutto questo per dire cosa.
Che CARO EMERALD, deliziosa olandesina (anzi, olandesona, ma comunque assai gradevole all'aspetto) ha piazzato due colpi da 90 nell’ultimo anno, riuscendo a far conoscere la propria musica un po’ ovunque nella penisola.
Pezzi pop leggeri, con venature di retrò che danno un tocco caratteristico e senza tempo, cantati e suonati bene. Acqua fresca. Con tutti i valori dell’acqua fresca. Che quando ne hai bisogno è meglio dell’oro, quando non serve è niente.
Vi starete ovviamente chiedendo quali sono i pezzi.
Back it up  e A night like this sono i titoli delle canzoni, ma vi diranno poco. Allora facciamo così.
Io vi mando i video delle canzoni, voi indovinate quale marca hanno pubblicizzato e il cerchio si chiude. OK?
Alla prox.

giovedì 26 maggio 2011

LADY STARDUST di David Bowie

A me piace pensare che un giorno si ritroveranno da qualche parte.
MARC BOLAN, per molti il vero inventore del GLAM ROCK, a cui approdò partendo da una musica di stampo folk psichedelico tipo Donovan, inaugurò l'era del glam durante la spataffiata del progressive rock, svolgendo un ruolo da pre-punk nel demolire le suite di venticinque minuti con trentaquattro assoli con brevi canzoni rock ruvide, lascive e scintillanti di tre minuti tre.
Bolan fu molto amico di DAVID BOWIE.
Suonò la chitarra su alcuni suoi pezzi, avrebbe dovuto fondare con David un supergruppo (la moglie di Bolan però si mise di traverso...), condivideva con Bowie il mitologico produttore TONY VISCONTI che non può non essere considerato co-responsabile dei successi dei due.
Molti hanno pensato che David abbia speculato sull'amicizia con Marc.
Un Bowie che, dotato sicuramente di maggior spessore artistico, invidiava tuttavia a Bolan l'innato glamour dell'immagine e l'immediatezza della proposta musicale.
THE RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST fu una specie di epitaffio per il genere.
Come se il più dotato David avesse voluto innalzare il glam rock a livelli ultraterreni scaricando a terra l'amico Marc e le sue debolezze.
Bolan difatti artisticamente non si riprese più, e andò scemando nel tempo per altri cinque anni, fino alla morte prematura per incidente d'auto a soli 30 anni, nel 1977 (al funerale di Marc andarono solo David Bowie e Rod Steward, dei grandi).
In realtà David capì che il glam era finito appena iniziato, proprio come successe al punk 5 o 6 anni dopo.
E, dopo aver varato Ziggy, per non rimanere prigioniero del personaggio e del genere, si rifugiò alla voleè su altri lidi. Ma, all'interno di Ziggy, lasciò questa canzone stupenda che parlava proprio di Marc Bolan, la "lady stardust" del titolo è lui. Una lady stardust che invece rimase prigioniera della propria immagine e della propria musica non riuscendo più a rinnovarsi o a cambiare ulteriormente marcia.
LADY STARDUST è una delle prime tre ballad piano e voce di David. Forse non è bella perfetta come Life on Mars. Ma come canta Lady Stardust, David ne ha cantate poche. Si vede che ci "sentiva". Si vede.
Un minuto di raccoglimento per Marc e godetevi questa cosa qua, musica e testo.



David Bowie - Lady Stardust - Lyrics

domenica 22 maggio 2011

Papa Roach - Last Resort


Del fenomeno che fu etichettato maldestramente come "Nu Metal" ho sempre odiato la componente "teen" che spingeva le band del genere a posizionarsi (look, tematiche da disagio adolescenziale) di conseguenza.
Tuttavia, buttandone nel cesso almeno il.....diciamo l'80? il 90%?...del totale, restano alcuni ottimi pezzi a guardia del sound della seconda metà degli anni 90 e dei primi 2000. Band come Korn, Linkin' Park, Limp Bizkit e via andare si sono abbastanza sputtanate via via negli anni ma ognuna di esse ci ha lasciato almeno un paio di pezzi che resteranno impressi nella memoria del periodo (Freak on a leash, In the end, ecc.).
Facevano parte del mazzo anche se in maniera meno universale, i californiani PAPA ROACH.
Che però nel 2000 misero a segno un indimenticabile killer riff come Last Resort.
Pezzo che ogni tanto, uscendo da casa la mattina con il classico 'ovosodo' in petto e con la voglia di ripetere fotogramma per fotogramma 'un giorno di ordinaria follia', serve anche a scaricare un pò di tensione e adrenalina.
Son quelle cose che riescono ogni tanto, come i tiri da tre punti a Shaquille O'Neal, per dire.
Ma funzionano alla grande.
Aloa.

mercoledì 18 maggio 2011

THE CARS sono di nuovo in pista

E' uscito il nuovo album dei CARS, senza Benjamin Orr evidentemente.
Critiche buone più o meno dappertutto. Eppure.
Eppure io sono stato un fan dei Cars, una band che ha saputo offrire il miglior pop-rock in circolazione tra la fine dei '70 e la prima metà degli '80. Un pop-rock proveniente dal rock urbano della East Coast e poi integratosi di album in album con l'elettronica fino all'apoteosi di Heartbeat City, masterpiece, blockbuster e campione di premi vari per videoclip.
Ma i veri fan, alla "plasticosità ricercata" di Heartbeat, hanno sempre preferito la "immediatezza rombante" di Candy-O (quello con la copertina di Vargas) e anche di Panorama (quello con le bandiere a scacchi).
Non metto niente da Heartbeat City che ci ho già fatto un post tempo fa.
Perchè vi parlo del passato e non del nuovissimo scintillante MOVE LIKE THIS?
Perchè il nuovissimo e scintillante album non fa altro che replicare (bene, ci mancherebbe: loro erano dei numeri uno) quanto di buono già fatto in passato. Condivido le buone critiche ricevute, non mancheranno le charts, dove troviamo oggi gente in grado di scrivere pezzi pop perfetti come quelli che scrivono i Cars.......non mancano nemmeno i grandi pezzi (Too Late e Soon su tutti) ma.
Ma caspita, sembrano outakes degli album che citavo prima. Tipo "Ehi Mutt (Robert John Mutt Lange, leggendario produttore di Heartbeat) mettiamo Drive o mettiamo Soon che due lentacci sono troppi per la dinamicità dell'album?" "Metti Drive vai che Ben oggi c'ha una voce che incanta....quell'altro pezzo ce lo giochiamo nei prossimi dischi...".
E allora, carissimo ed amatissimo Ric "ocasecca" Ocasek.
Che bisogno c'era di rimontare su il tendone con la sciatica e la prostata ingrossata?
Nessuno. Se non quello di far vedere ai ragazzi che qualcuno con la penna in mano esiste ancora?
Mmmmmmmm...........ai posteri. Intanto voi beccatevi queste due:

LET'S GO da Candy-O è a mio avviso la signature song del gruppo, con quelle chitarre ancora in evidenza (Elliott Easton è un ottimo strumentista), con quel fantastico ritornello "she said I like the nightlife baby...".
SHAKE IT UP dall'album omonimo invece rappresenta la scelta di campo verso un maggiore contenuto di pop ed elettronica.

domenica 15 maggio 2011

NORTH MISSISSIPPI ALL STARS (meglio tardi che mai)

Io a volte passo di qua solo per dire 'mea culpa mea culpa mea culpa'. E battermi il petto.
Me ne avevano parlato bene in effetti; ma tra il tempo che è poco e il rincorrere le sirene delle numerose next big thing alla fine non avevo mai trovato il tempo necessario da dedicargli.
A questo gruppo con questo strano nome: NORTH MISSISSIPPI ALL STARS.
Strano come i gruppi nigeriani di afro-funky degli anni '70. Che in effetti però non c'entrano una cippa.
La band dei fratelli DICKINSON è un portento, credetemi.
Lo so che arrivo ultimo a dirlo ma porcavacca che ci posso fare. Non li conoscevo bene.
E manco ora se è per quello ma ho iniziato a seguirli con più assiduità e devo dire che rappresentano per me un'ideale incrocio tra le sonorità ardue e sanguigne di Steve Ray Vaughan (inchino) e quelle più jam session degli Allman Brothers (doppio inchino). Senza dimenticarsi di una bella spruzzata di Southern Rock, almeno di quello con una venatura soul.
E LUTHER DICKINSON (che spesso presta la sua solista anche ai Black Crowes) è veramente un chitarrista formidabile. Come oggi, 15 Maggio 2011, ce ne son pochi. Come ce n'erano, ma sempre non tanti, negli anni '70.
Vi giro questa perla non recentissima (mi pare del 2005) ma che ben illustra che razza di band abbiamo davanti.
Stare alla larga se si subisce la fascinazione di NME.
See ya later.


North Mississippi Allstars Stompin' My Foot live @ The Higher Ground

domenica 8 maggio 2011

SHABAZZ PALACES Blast It

Poi non ditemi che non sono di larghe vedute.
Conoscete la SUB POP record no? Quella mitica indie di Seattle che oggi è una delle più grosse e ascoltate finte-indie del mondo, quella dei Fleet Foxes e dei Low per dire. Dal grunge al neo folk allo slowcore è tutto un accompagnare sul mercato band ad alto tasso di figaggine. Che per inciso piacciono molto anche a me, specie i Low di Alan Sparhawk. Ma se andate sul sito della Sub Pop ne scoprirete veramente di ogni.
Di ogni nel senso che da poco per la storica etichetta di Seattle (SE-AT-TLE capito? non East LA o qualche quartierazzo della grande mela) è uscito un lavoro di SHABAZZ PALACES, un bel progetto hip hop (sì ho detto hip hop, un genere che solitamente aborro) che prende piede a Seattle perchè ivi ha casa il rapper-capo (Digable qualcosa, si vede che non ne so una beata fava eh?).
Insomma che vi devo dire, sarà l'aura della SubPop, sarà la voglia di novità, sarà che in questo pezzo mancano papponi e mignotte ma si sentono echi di Africa e strumenti desueti.
Insomma questo pezzo tira e parecchio, mi auguro abbia un bel riscontro perchè mostra alla scena hip hop strade nuove (oh, nuove almeno per me) che possono farlo uscire dai soliti e ormai usurati clichè gangsta.

BLAST IT!!!!



Shabazz Palaces - Blast It (from the Village Beat film, Tough Bond)

venerdì 6 maggio 2011

Whitesnake - Still Of The Night


Ecco se c'è uno che ho sempre pensato avrebbe potuto dare di più alla storia del rock di quanto in effetti abbia dato è sicuramente Mr. David Coverdale.
Intendiamoci, non è che aver fatto parte di un Mark dei Deep Purple sia roba da poco.
O che i Whitesnake a loro modo non siano parte integrante della storia del rock pesante.
O che l'ex commesso di boutique Coverdale non sia stato uno dei modelli di "frontman" più imitati di sempre. 
Ma viste le doti (per me una delle ugole più grandi di sempre) e le non indifferenti capacità di songwriting avrei sperato che la carriera di David potesse essere volata ancora più alta.
Ma insomma dai, va bene anche così.
Questo live del 2005 vede il grande David già in là con le candeline eppure in forma smagliante e, come di consueto, circondato da una band di prim'ordine. Mai nella storia dei Whitesnake si son visti comprimari, da Steve Vai a John Sykes e via andare ci sono sempre stati grandissimi chitarristi ma non solo, al fianco del capelluto.
Qua alla coppia di shredder Reb Beach e Doug Aldrich si aggiungono due mostri sacri come Tommy Alridge (ex Ozzy) e Marc Mendoza (ex Twisted Sister, ex Dictators) ai tamburi e al basso.
La canzone poi, una delle migliori del repertorio di Coverdale, dentro Slip of the tongue 1987 (thanks unwise!) che fu uno degli album più venduti degli anni '80, probabilmente la più zeppeliniana del gruppo (black dog è dietro l'angolo.....) tira che è un piacere.
Quasi 9 minuti di "wilderness" da parte di un gruppo per metà composto da ultracinquantenni non è male dai. Soprattutto in tempi musicalmente cupissimi in cui ci attacchiamo a qualunque chitarrina per tirare avanti sperando che qualcosa cambi...
Alla prossima, folks.

martedì 3 maggio 2011

I due Aerosmith

Per il sottoscritto ci sono sempre stati due AEROSMITH differenti.
I primi sono i discepoli degli Stones, quelli brutti sporchi e cattivi degli anni ’70, quelli che flirtavano con il funk e che suonavano probabilmente il rock and roll più “abrasivo” in circolazione.
Quelli della sezione ritmica del dinamicissimo e versatile duo Hamilton/Kramer, quelli della chitarra pre-Slash di Joe Perry (un grandissimo, sempre troppo sottovalutato) e della vocalità rauca e sensuale di Steven “la rana dalla grande bocca” Tyler, l’uomo che quando rideva meno male che aveva le orecchie altrimenti faceva il giro.
Poi ci sono gli Aerosmith dell’oscurissimo periodo senza Joe Perry (andato via per seguire un suo progetto, appunto il Joe Perry Project, mai decollato perbene), quelli con Jimmy “che ci faccio io qui” Crespo alla chitarra. Una cosa onesta che però personalmente ho difficoltà a considerare come Aerosmith, un pò come i Clash di Cut the Crap, senza Mick Jones.
E poi, dopo l’inevitabile scioglimento dovuto alle liti alle separazioni alle droghe e all’alcool (tutto come da copione, fantasia zero), nel 1983 la prevedibile reunion della line up originale che peraltro va avanti ancora tra tira e molla, alti e bassi. Nel 1983, come dicevo, con un disco nuovo di zecca che rappresentava il perfetto ponte tra passato e futuro (“Done with mirrors”, buon livello) che traghettava la band dalle cruditè degli esordi verso l’ipersuccesso planetario di un nuovo big-rock a tutto tondo, pieno di ballatone da classifica scritte dai “mestieranti” del genere (uno su tutti, Desmond Child), molto meno abrasivo di prima lustrini e paillettes un po’ dappertutto e via andare lisci come l’olio verso nuovi e ripetibili eccessi. Se vi dico “Rag Doll” “Dude (looks like a lady)”, “Angel”, “What it takes”, “Crazy”, “Amazing” cosa vi viene in mente se non le prime heavy rotation di MTV e le maxiarene piene di lascive ragazzine ululanti anziché di rocker incazzosi?
Io, pur apprezzando qualcosa anche degli Aerosmith ‘80 e ’90 (“Eat the rich”, “Livin' on the edge”, “Janie’s got a gun” per dire), sono sempre stato un fan di quelli della prima ora. Non voglio dire “quelli veri” perché di vero nel rock and roll non c’è proprio una sega, ma almeno di quelli che avevano qualcosa da dire.
Album come “Get your wings” e “Toys in the attic” hanno segnato il decennio, e pezzi epocali come “Sweet Emotion”, “Dream on”, “Mama kin”, “Back in the saddle” rappresentano ancora oggi traguardi praticamente irraggiungibili per il 99% delle nuove band che si accingono a suonare il rock and roll. Ci son poi pezzi che hanno inaugurato l’epoca del crossover (“Walk this way” nella original version rappata da Tyler del 1975 e poi nel fragoroso remake con i Run DMC), cover version che non han fatto brutta figura con l’originale anzi hanno aggiunto qualcosa (mi riferisco a “Come together”), ci son cose fatti arrangiamenti e atteggiamenti che hanno ispirato la genesi di gruppi di grandissimo successo come Guns ‘n Roses, Tesla, Black Crowes per dirne solo alcuni. Gruppi che per la maggior parte sono stati spazzati via dal tempo mentre loro sono (tra un acciacco e l’altro) ancora lì.
In definitiva il duo Perry/Tyler negli anni ’70 portò avanti senza sfigurare troppo la tradizione del songwriting di coppia alla Page/Plant, alla Jagger/Richards. E merita non solo di essere largamente ricordato ma anche di figurare tra i grandissimi. Almeno per quello che ha fatto in quel decennio.
E io vi giro un trittico di canzoni indimenticabili, tiè.
Sweet Emotion con il suo incredibile e ipnotico giro di basso, la celeberrima Walk this way e la malinconica (ma non ruffiana) ballad Dream On, qua in struggente versione unplugged.


AEROSMITH - Sweet Emotion - LIVE 2004


Aerosmith - Walk This Way


Aerosmith - Dream On (Live MTV Unplugged) HD