venerdì 29 giugno 2012

IPSE DIXIT 1

"A volte sono spaventato di essere Ozzy Osbourne. 
Ma mi sarebbe potuta andare anche peggio. 
Avrei potuto essere Sting."


lunedì 18 giugno 2012

ENYA e le allucinazioni collettive


L'altro giorno mi sono imbattuto in una canzone di Enya e mi si è ri-scoperchiato un mondo che pensavo fosse appartenuto solo alla penna di Tolkien. Ma che davvero c'è stata un'epoca che stavamo tutti a sentire la musica celtica quella col gaelico che non ci si capiva niente nei testi ma che faceva così figo sentire e poi raccontarlo agli amici tipo hai sentito quella bucolica me pare "jjkkssnagard ghwgnifen lirrtyyyyskandergarden" oppure era "snirlfs ognnath ynnnnnerscc"? Poi sono arrivati i Sigur Ros a fare titoli ancora più ridicoli ma insomma vuoi mettere il fascino della verde Irlanda e dei fiordi e del salmone appena pescato? E giù di Clannad la mattina e la sera che parevi rincojonito.


Ora ripensandoci non possiamo far del tutto gli stronzi e dire che era robaccia, siamo solo degli ignobili gelosi, in fondo le tradizioni e la cultura musicale dell'Irlanda hanno di fatto influenzato enormemente la nascita della musica moderna quale noi la concepiamo, andando a spingere gli ululati degli Appalachians via via che dalle aje si propagava mouth-mouth quella specie di proto-country da cui sarebbe nato almeno il 50% della musica rock (il resto viene dal blues, ovviamente).


Ma a noi, da Sgurgola Marsicana a Ovindoli, da Roncobilaccio a Pessano con Bornago, della musica celtica, che ce ne doveva fregare? Tanto valeva ascoltare quella dello Swaziland. Abbiamo la nostra di musiche folk, che basta e avanza. E invece tutti a fingerci druidi. Ce ne siamo intrippati bene bene e ce ne siamo beati come se avessimo tutti i capelli rossi e trapattoni come allenatore capo. Una moda collettiva che oggi, a dire il vero, è un pò passata.


Sembra un altro mondo, davvero.
E allora, per celebrarlo, rimettiamo sul piatto la deliziosa garbata, e anche un pò gnocca, ma pallosissima ENYA (all’anagrafe, pare ma vallo un po’ a verificare, dovrebbe fare qualcosa tipo Eithne Patricia Ní Bhraonáin) (pensa te da bambina quando si allontanava come la chiamavano) con uno dei suoi pezzi migliori che penso tutti voi prima o poi abbiate sentito mentre passeggiavate serenamente sotto il cielo azzurro d'irlanda, meriggiando sui bordi di un fiordo sorseggiando tè e dando morsi ad un salmone affumicato di 10 chili. Che poi ridendo e scherzando e gorgheggiando, piano piano poco poco ho letto che tra Clannad e carriera solista ha venduto 75 milioni di dischi. Esticazzi.


Next Stop, see ya


(tra parentesi, il video è bellissimo)

giovedì 14 giugno 2012

Painkiller e la fine di un'era


Correva l'anno 1990 e i JUDAS PRIEST ormai in declino dopo i fasti degli ultimi 15 anni davano alle stampe il disco definitivo dell'heavy metal. Da lì in poi, con il parallelo inaridimento del thrash (il filone che aveva reso ossigeno al mondo dell'hard&heavy) e l'avvento dei sub-generi avvitati su sè stessi avrebbe definitivamente decapitato il capostipite e reso l'hard una nicchia.
Capire PAINKILLER oggi è più facile, i Priest fecero il cosidetto canto del cigno e poi si separarono fino alla reunion (neanche tanto patetica, ma comunque sempre reunion è) del 2008. Ancora girano e spaccano ma, come si suol dire, sono diventati la cover band di sè stessi.
PAINKILLER mise il sigillo, per chi odia il genere è solo un disco di fastidioso metallo, ma per chi lo ha amato e seguito il disco in questione rappresenta questo:
"ecco adesso è stato veramente detto tutto e ai massimi livelli, più di così non si può, chi cercherà di fare ancora queste cose sarà solo un imitatore".
Negli anni a seguire arrivarono solo morti sgozzati, shredder e un rosario di generi sempre più incomprensibili (doom, death, grind e tutte quelle robe lì). Fino a vedere qualche luce negli ambienti post-metal (Isis e Neurosis i massimi a mio avviso). Oppure a vedere band ricopiare pedissequamente stili e metodi dell'epoca d'oro (cito i Trivium tra i tanti, che sono bravi sì ma si rifanno pesantemente al passato).
Dentro Painkiller ci sono tante belle canzoni, fra tutte spicca la melodica e cadenzata Touch of Evil che, spogliata dell'arrangiamento heavy, suonerebbe buona anche in un disco di pop. Perchè i Priest erano ottimi songwriter, oltrechè depositari dell'iconografia del genere.
Ma la title-track condensa in 7 minuti quanto si era saputo masticare e rimasticare nei 15 anni prima.
In particolare la chitarra di Glen Tipton (non credete a chi lo snobba, è uno dei 5 massimi guitar-hero del mondo hard) sciorina un compendio delle tecniche possibili non disdegnando l'hammering (quella col ditino della mano destra a martello sulla tastiera) di vanhaleniana memoria ma puntando molto sullo sweep-picking (difficile da spiegare, una specie di arpeggio velocissimo in cui guida la destra e la sinistra segue sulla tastiera, un pò invertendo i ruoli delle mani).
Ma nello sciorinare le tecniche Glen lo fa con il suo stile inimitabile. Anche lui parte della categoria "UN UOMO UN SUONO", guida l'assolo dentro una voragine di epicità e liricità che ha pochi uguali. Scale velocissime ai limiti dello shredding ma incanalate dentro una linea melodica da paura che solo lui è stato in grado di gestire per così tanti anni senza ripetersi e assurgendo al ruolo di modello per schiere di aspiranti axemen.
Praticamente l'assolo definitivo dell'heavy metal dentro il disco definitivo dell'heavy metal.
Tutto questo mentre esplodeva la potenza restauratrice del grunge e si delineava sullo sfondo la rinascita del rock che partiva dalle delicatezze e dalle tristezze del mondo low-fi e dalle distorsioni sonore del mondo del feedback.
Sarebbe stato un gran bel decennio, quello dei novanta. Ma prima c'era bisogno di chiudere i conti del genere che aveva dominato il pianeta rock per tutti gli anni 80.
E i Judas Priest, fra i maestri del genere, si incaricarono di fare l'ultimo tiro da tre, mutuando un linguaggio da basket.
Alla prossima.

giovedì 7 giugno 2012

Solo come un solo



Nasco rockettaro e per me l’assolo di chitarra (il “solo”) è e rimarrà sempre qualcosa di fondamentale.


Purtuttavia col passare degli anni ho sviluppato una diversa sensibilità verso gli assoli, il che mi ha portato a svalutare gente che pensavo esagerata e a rivalutare gente che pensavo poco più di un cane.

Questo perché l’assolo è composto da molte componenti, ognuna importantissima. Con la maturità arrivi a dare pesi più equilibrati alle diverse componenti. E quindi il mix che compone un assolo si modifica con tutte le conseguenze del caso. Andiamo a cercare di elencare quelle che io considero le componenti determinanti. Chiarimento: non sono un tecnico né un musico, quindi andrò alla cazzo di cane come pare a me.


La creatività

Ogni assolo è come se fosse una composizione. Un pezzo strumentale all’interno di una canzone. Il chitarrista bravo “scrive” l’assolo nota per nota, decide come inizia (magari come creare tensione, come introdurre il tema principale), come si svolge (quanto veloce, che scale usare, le tecniche, i collegamenti con la melodia base della canzone) e come finisce. Se deve essere più energico o più lirico, se deve avere una linea melodica memorabile o solo integrare quella della canzone. Insomma gli assoli PRIMA DI TUTTO si scrivono. Diffidate degli improvvisatori assoluti. Va bene una svisata in jam session ma quando siamo in sala d’incisione l’assolo va “progettato”.

La tecnica esecutiva

Deve essere adeguata all’assolo che si intende effettuare. Chi sa di essere superveloce o di saper usare a manetta lo sweep-picking può cimentarsi in scale pirotecniche, chi sa di essere un po’ più limitato deve puntare su altri aspetti (la melodia, le distorsioni, gli effetti). Non importa chi è più veloce ma chi mette la propria tecnica al servizio della canzone e dell’assolo che ci sta dentro. Brian May, che non è esattamente uno shredder, pone gli assoli come vere e proprie integrazioni del cantato di Freddie Mercury, te li ricordi nota per nota. E lo fa con la propria tecnica e con il proprio suono”. Molti lo schifano, ma averne.

La personalità

Ogni chitarrista che ambisca ad essere ricordato deve essere riconoscibile da subito. Che lo faccia scegliendo un suono inimitabile (Mick Ronson, Carlos Santana) o una tecnica a proprio uso e consumo (l’hammering di Van Halen, gli armonici di The Edge, gli arpeggi di Knopfler) non importa. Chi ha personalità spicca, tutti gli altri (anche più bravi tecnicamente eh) vanno a fare numero. Chi si ricorda dei Warren De Martini o dei Chris Impellitteri? Nessuno. Molti invece sanno chi è George Lynch o Yngwie Malmsteen. Criticabilissimi ma immediatamente riconoscibili.

La passione

E qui si entra molto nel soggettivo. Dopo anni e anni di ascolti penso si possa arrivare a riconoscere se l’assolo trasuda di passione o se è una cosa fredda messa lì, magari con garbo e bravura ma sempre fredda. Esempi? L’assolo di Like a Hurricane di Neil Young (non esattamente un mostro di tecnica) trasuda passione, alcune cose di altri due non esattamente tecnici come Lee Ranaldo e Thurston Moore pure, l’assolo di Beat it di Eddie Van Halen (peraltro mio idolo) invece assolutamente no. Lo stesso Eddie che mette passione nelle cose personali (sentire l’assolo di Little Dreamer), non ne mette se “prezzolato” da Michael Jackson.


Invito i miei pochi aficionados ad aggiungere “componenti”.


E una cosa mi preme sottolineare. M’inkazzo come una bestia quando su youtube vedo video di ragazzini di 12 anni o di aspiranti shredder che mostrano quanto sia facile replicare Eruption di Van Halen o l’assolo di Flying high again di Randy Rhoads o l’assolo di Confortably numb di David Gilmour. Ma bravi! Magari esercitandosi a manetta per tre mesi alla fine vi riesce davvero. E magari nei commenti trovate gente che scrive cose tipo “ellapeppa, anche un ragazzino sa suonare queste cose qua…..”. Ma la cosa da tenere sempre a mente è che quegli assoli sono stati scritti da qualcuno. E chi copia pedissequamente la gioconda di Leonardo non diventa Leonardo solo per essere un grande copiatore. Capito?

domenica 3 giugno 2012

SLEEPING BAG e le barbe

Il mio amore per questo powerissimo trio travalica quello puramente musicale e invade la sfera dell'empatia, come è giusto che sia per ogni vera passione.
Così come non amerò mai del tutto un gruppo che, per quanto bravo, mi sta pesantemente sul cazzo, allo stesso modo idolatro un gruppo che, anche se con evidenti limiti, mi sta sovranamente simpatico.
Come? Non sono obiettivo? Chissenefrega.
ZZ TOP forever e senza pensarci neanche un pò.
E non ce la meniamo con la solita tiritera che i primi album quelli più blues erano bravi poi si sono dati alle classifiche.
Io ce li ho ELIMINATOR e AFTERBURNER, son comunque due dischi della madonna.
I due barbuti (il divino Billy Gibbons un uomo un suono + il basso di Dusty Hill) coadiuvati da Frankie Beard alla batteria sono stati capaci come nessun altro di coniugare il ruvido rock blues degli esordi con ritmi dance e sintetizzatori. Un paio di album portentosi, pieni di canzoni, tecnicamente superbi, con suoni all'avanguardia e con un tiro da paura.
Che difatti sbancarono anche se la critica ad hoc, tipo quella del mucchio selvaggio e buscadero, storceva il naso....e vabbè saiquanto.
Camionate di hit singles dalle quali estraggo questa qua, che a me ha sempre fatto saltare sulla sedia.