mercoledì 26 novembre 2008

Soundgarden - Black Hole Sun

Stamani passavano 'sta roba.
Che per chi non lo sa è uno dei più bei pezzi degli anni '90.
Per il sottoscritto anzi è uno dei più bei pezzi ever.
Anche se Chris Cornell non ha mai dato seguito alle enormi promesse impantanandosi in una carriera irta di ciofeche (Audioslave) e di cazzate (colonna sonora 007), tuttavia ciò che realizzò con i SOUNDGARDEN fu memorabile.
BLACK HOLE SUN è il pezzo signature del grunge.
Anche se pesantemente debitore agli Zeppelin di Houses of the Holy, in questo pezzo si ritrovano tutti gli elementi cardine del rock.
Durezza, orecchiabilità, pathos, capacità di esecuzione.
Un cenno particolare anche al meraviglioso video, in bilico tra surreale ed horror.
Con le facce che si sciolgono passate ormai alla leggenda.
Gustatevelo tutto. Fino alla fine.
Halleluja!

domenica 23 novembre 2008

pensieri e parole

Ma se gli Aerosmith erano la caricatura dei Rolling Stones e i Kiss quella dei Black Sabbath, cosa spinge Axl Rose a continuare a far finta di essere sempre i Guns'n'Roses? I Cinesi? E che cazzo c'entrano i cinesi? Non poteva cercare invece di sembrare i Led Zeppelin che erano tutti più contenti anche Robert Plant che così non prova più sensi di colpa per non continuare con la reunion? E a Sting nessuno ci pensa? Maldetto bastardo lui e tutte le sue tenute in Toscana. Che dopo 20 anni di countrylife non sa ancora dire una parola in vernacolo. E poi non ditemi che Dave Gahan non è uno stronzo, dopo aver floppato con la carriera solista torna in tourneè con i Depeche e Martin. E io vado a vederli? Manco paa capa. Tanto lo so che vedendoli dal vivo mi rovinerei la fanship. Sono e restano un gruppo da studio. Invece mi sono rivalutato il primo dei Kasabian, gran disco con rock, pop ed elettronica in bellissima miscela: SLF, Clubfoot e Processed Beats son dei pezzoni.
Ma alla fine qual è il problema? David Thomas dei Pere Ubu aveva già detto tutto questo nel 1978. E Jaz Coleman ribadì con gli interessi nel 1980....basta ricordarsene.

Halleluja!

martedì 18 novembre 2008

AC/DC e Black Ice: ULTIMI DINOSAURI?

Chi mi segue sa che ne ho già dibattuto su molti blog e forum.
Ebbene sì, volenti o nolenti, BLACK ICE degli AC/DC è “il” caso discografico dell’anno.
A 8 anni dall’ultimo lavoro, il nuovo disco dei canguri, uscito il 17 Ottobre più o meno in tutto il mondo, è andato dritto al numero UNO in 29 nazioni.

Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Argentina, Australia, Italia, Nuova Zelanda, Canada, Francia, Svezia, Giappone, eccetera eccetera.
Non si possono accusare come al solito i nipponici di essere di bocca buona o gli australiani di essere di parte.
E' andato al numero uno dovunque.
Italia compresa(?).

Negli Stati Uniti sono state commercializzate circa 800.000 copie nella sola prima settimana di vendita (dati ufficiali di Billboard).
Numeri che sarebbero stati enormi nel mercato discografico degli anni 80 ma che oggi, in epoca di musica digitale e scaricamenti vari, non sono da record.
Sono molto di più.

Tutto questo a prescindere dall’effettivo valore del disco in questione.
Che io, come fan, giudico di ottimo livello.
“In gran spolvero” è l’espressione che meglio si attaglia al momento dei canguri.

Ma si tratta di un disco che nella sua gradevolezza non è assolutamente paragonabile ai 2 (o 3..) capolavori in passato registrati dalla band.

Siamo di fronte ad un fenomeno di massa di dimensioni impensabili fino a qualche giorno prima.

E va bene che il marketing si è mosso da Dio.
E va bene che il fascino carismatico dei canguri sia ancora intatto.
E va bene che i singoli (Rock and Roll Train, che vi mando dal tubo) stavolta abbiano fatto da traino davvero come ai bei tempi.

Ma non si spiegano solo con questo le oltre 5 milioni di copie già vendute e le 10 previste entro fine anno.

La mia sensazione è che si siano attivate varie sinergie di reazione tutte insieme.
E da parte di pubblici molto vari, dai teen agers ai nonnetti.
Tutta gente che prima o poi è entrata in contatto con una delle ultime rock and roll band rimaste in pista. E che per l’occasione non ha voluto mettere l’ennesimo mp3 nel cazzo di Ipod e ha privilegiato l’acquisto dell’oggetto, del manufatto da conservare come reliquia o solo come elemento di una collezione.

FORSE PENSANDO CHE SIAMO DI FRONTE ALL’”ULTIMO” DISCO DI ROCK AND ROLL?
(nel senso che non ce ne potranno essere mai più)
(come quelli che vanno a vedere gli Stones pensando sempre che sia l’ultima tourneè? Io ci sono cascato già un paio di volte).

A voi ed ai posteri la risposta.

Halleluja!

mercoledì 12 novembre 2008

Dietro le quinte




Ultimamente mi piace andare a ravanare “dietro le quinte” del music business.
Perché ci sono fenomeni che non appaiono alle masse ma che suscitano comunque interesse e curiosità.
Alzi la mano chi di voi ha mai sentito nominare DESMOND CHILD, sì quello lì “ma chi cazzo è” nelle foto accanto a Jon Bonjovi, Cher e Steven Tyler.
Questo talentuoso signore, di origine cubana ma nato in Florida nel 1953, è probabilmente la persona che ha venduto più dischi in assoluto: 300 milioni con oltre 70 pezzi nelle top 40 delle charts americane.
Come? Non lo avete mai visto in classifica?
Per forza. E’ uno scrittore (e produttore). Dovete prendere i dischi e andare a vedere i credits delle canzoni.
Il primo a credere veramente in lui fu (e poi chiedetemi perché non riesco a non considerarli grandi….) Paul Stanley che gli “commissionò” I Was made for lovin’ you nel 1979.
Pezzo che riciclò alla grande i Kiss e che resta tuttora uno dei più venduti del loro sterminato catalogo.

“as Child remembered in Billboard, "Paul and I talked about how dance music at that time didn't have any rock elements." To counteract the synthesized disco music dominating the airwaves, Stanley and Child wrote, "I Was Made For Loving You." So, "we made history," Child further remembered in Billboard, "because we created the first rock-disco song." That song became Kiss' best-selling single.”

Ci sono innumerevoli altri esempi. Ne dirò solo alcuni, per il resto vi rimando al suo sito personale (http://www.desmondchild.com/).
Chi rianimò la seconda fase della carriera degli Aerosmith (Dude looks like a lady, Angel, What it takes, Crazy ecc.)?
Chi dette la spintona definitiva ai Bonjovi (You give love a bad name, Livin on a prayer, Bad medicine)?
Chi ha veramente fatto esplodere a livello globale Ricky Martin (Livin‘ la vida loca)?
Poi mettiamoci pure Alice Cooper, Michael Bolton, Joan Jett, Cher, Meat Loaf, Joss Stone, The Rasmus, The Scorpions, Sebastian Bach, Hillary Duff e perfino la nuova stellina Katy Perry. Ma sicuramente la lista è molto molto più lunga.
Che dire, lo stile di Child è vicino al rock melodico, a volte un filino più caciarone altre più orientato alle power ballads. Ma la sua grande capacità risiede a mio avviso nella strepitosa flessibilità.
Che lo porta a “interpretare” lo stile del committente spesso agendo in collaborazione con lui e rendendo il pezzo incastonabile nella sua produzione senza che sembri piovuto dal cielo.
Che lo porta a coprire una marea di stili e di generi, cosa impensabile per i suoi “colleghi” (forse solo Linda Perry ha una flessibilità simile, ma non sicuramente Jim Steinman o Bob Halligan jr.).
Insomma uno che sarà seduto su una montagna d’oro e che quando vede i video su MTV passa il tempo a dire “celo” e “manca”.
Halleluja!

lunedì 10 novembre 2008

Bassi e alti

Primi anni ’80.
Dopo la sbornia punk inizia ad apparire una scena pop pesantemente influenzata dalla new wave e dalla dance music.
Molto spesso la cosa si risolve nel giro di uno-due album, altre volte la cosa dura di più.
Quello che però non mi spiego è PERCHE’ il basso in quel periodo fosse così protagonista.
Volete dei nomi?
Mark King dei Level 42.
Pino Palladino che suonava con Paul Young (poi un po’ con tutti).
Paul Webb dei Talk Talk.
Deon Estus degli Wham!, poi con George Michael e Elton John.
Derek Forbes dei Simple Minds.
Nicky Beggs prima dei Kajagogoo, poi con Ellis Beggs and Howard.
Vi bastano? Fretless, slap, stick e chi più ne ha più ne metta.
Una messe di bass players come raramente se ne ricordano. E c’era sicuramente qualche altro bel nome che non mi ricordo.
Tutti intenti a suonare canzonette pop o poco più, con qualche eccezione.
Io non sono mai stato un cultore dello strumento ma ancora oggi appena risento quel tipo di sound mi chiedo perché in quel periodo ci fossero così tanti bravi bassisti.
Mah. Che domande del cazzo.
Ai posteri.
Intanto vi lascio con il sinuoso giro di fretless del grande Pino Palladino sul pezzo (ex-Marvin Gaye, mica cotiche) che fece uscire dall’ombra Paul Young: Wherever I lay my hat (that's my home).
Halleluja!

mercoledì 5 novembre 2008

Barry White Never Never Gonna Give You Up

Oggi vi parlo di una canzone che fa parte della Dance Music di classe: Never Never Gonna Give You Up.
Che è diventata uno “standard”.
Che ogni volta che la sento m’invalvolo (io, pfui, rocchettaro) (ma anche no) (insomma lo sapete che mi piace anche altro non rompete troppo i maroni).
Che mi induce all’ottimismo.
Che allontana seppur brevemente “pessimismo e fastidio”.
Che trasuda di buono.
Che produce conquiste in serie e consolida relazioni pericolanti.
Qua nella celeberrima e tamarrissima versione originaria, cantata da “one man, one voice” Barry White.
Nessuno video, solo la canzone e una foto del faccione di Barry.
Ma che molti conosceranno forse per la splendida versione di Lisa Stansfield.
L’omone ci sapeva fare.
E’ finito un po’ Las Vegas style, ma ai tempi dell’Unlimited Orchestra e anche subito dopo ha lasciato il segno. Non solo con le sue canzoni (ricordo, anche se temo sia superfluo, “Let the music play”, “Can’t get enough of your love baby” e “You’re the first the last my everything”) ma anche con le cover (sua la più bella versione di sempre di “Just the way you are”).
Fatene l’utilizzo che ritenete più opportuno.
Halleluja!

lunedì 3 novembre 2008

Eagles - I Can't Tell You Why

Dall’ultimo vero grande album degli EAGLES (il meno californiano di tutte le loro produzioni) ovvero THE LONG RUN (1979).
Dalla tenera voce di TIMOTHY B. SCHMIDT, bassista dai lunghi capelli corvini entrato a metà strada al posto di Randy Meisner, proveniente dai Poco. Una voce splendida che ci mise un attimo ad integrarsi con le incredibili armonie vocali del gruppo.
Dalla magica penna di una delle coppie più capaci di scrivere melodie che si siano mai viste nel music business (anche se Timothy ci mise lo zampino anche lui).
Quella canzone che ogni uomo invaghito di una donna dovrebbe dedicarle e cantarle col cuore in mano.
L’avrò sentita e dedicata cento volte.
Stamane in coda in macchina il traffico bloccato il nervoso la pioggia i problemi la radio il telefonino che ha perso la memoria è partita senza avvisarmi.
E come sempre I CAN’T TELL YOU WHY mi ha riconciliato per cinque minuti con il mondo.
Per voi, per tutti.
Halleluja.